Internazionalizzare? Si ma…

Circa un anno fa collaborando con Daniele Catarozzi e Monica Cordola sul loro Blog MarketCool, scrissi una serie di interventi o mini articoli, che allora chiamammo pillole, il cui scopo era quello di trattare step by step l’internazionalizzazione delle aziende ed i vari stadi necessari ad intraprendere questo percorso.

Sapersi internazionalizzare non vuole dire solo avere un buon prodotto e venderlo fuori porta ma vuole dire creare un’organizzazione aziendale, una cultura del fare vendita. Internazionalizzare è il piano aziendale di commercializzazione di un prodotto o brand e la sua pratica differisce sostanzialmente dal modo di vendere al quale eravamo abituati se il nostro mercato era solo quello Italiano. La mia analisi prevede 3 macro aree di “intervento” dove l’imprenditore deve assolutamente discutere e ragionare con il suo staff direzionale e commerciale al fine di riuscire in questo progetto; Gli Obiettivi, Internazionalizzare o Internazionalizzarsi e per finire il Come, il Dove ed il Quando.

Gli Obiettivi

Sono anni ormai che mi sto facendo una domanda, ma perché nella nostra vita personale siamo così bravi a darci degli obiettivi ed invece sul lavoro no?

Un esempio che mi va di fare è che quando si va a mangiare fuori, si sceglie il ristorante, il suo prezzo, con chi vogliamo andare e perché no’ il mezzo di trasporto più appropriato per arrivarci tenendo conto del traffico, posteggi etc. In poche parole dopo avere creato un obiettivo, che nel mio esempio è quello di andare a mangiare in un ristorante, siamo anche in grado di darci una serie di obiettivi secondari che ci aiuteranno nel nostro intento di farci una cenetta senza troppi contrattempi. Purtroppo non sempre sappiamo usare questa qualità e logicità organizzativa in azienda, e nello specifico ce la dimentichiamo quando si decide di esportare.
Esportare è una bella cosa ed in verità per un’azienda Italiana con un buon prodotto è estremamente importante se non essenziale specialmente in un momento dove il mercato Italiano non è più sufficiente per supportare le necessità di cash flow aziendale.

Strategie commerciali che se non portate avanti correttamente possono divenire un vero e proprio bagno di sangue. Il tutto molto semplicemente perché non si sono creati e pianificati gli obiettivi in maniera corretta. Pertanto succede che si decide di esportare negli USA, con il solo obiettivo generalizzato di esportare in quel paese, senza però avere considerato e di conseguenza avere creato degli obiettivi secondari sul con chi farlo, quali prodotti esportare, come affrontare il servizio post vendita. Succede così che dopo la fiera o la visita al cliente che ci aveva contattato non siamo organizzati ad affrontare gli step successivi e rischiamo di avere solo perso tempo (che in valore assoluto aziendale = DENARO) e tempo del cliente con tutto quello che comporta.

Come procedere? Bene semplicemente come si farebbe se andassimo a cena fuori, ovvero:

Obiettivo Principale:        Esportare negli USA

Obiettivi Secondari:         Ricerca del migliore canale di vendita

Trovare chi in azienda è la persona più adatta a gestire il progetto

Creare una mappatura della concorrenza locale, e non, ed i loro prezzi

E così via……

Così facendo e raggiungendo tutti gli obiettivi secondari, potremmo arrivare a quello che è il nostro obiettivo principale senza incappare in sconsigliati problemi nella realizzazione di un piano di internazionalizzazione.

Ci terrei solo a sottolineare che gli obiettivi devono essere SMART ovvero Specifici, Misurabili, Accessibili, Realistici e Temporali ed allo stesso tempo devono essere proporzionati ai mezzi finanziari ed alle risorse umane che si ha a disposizione, altrimenti è solo pura fantasia o miopia imprenditoriale.

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Internazionalizzare o internazionalizzarsi?

Il secondo step verte sul classico dibattito aziendale del “cosa fare e come farlo”. Ovvero internazionalizzare ed internazionalizzarsi portano allo stesso risultato ma sono due concetti/azioni ben precise e diverse. Io posso internazionalizzare la mia azienda ed il mio prodotto, semplicemente cercando il canale distributivo efficace e consono al mio prodotto (ne parleremo più tardi di questo) ma in verità, la mia azienda è pronta ad internazionalizzarsi?

Cosa voglio dire? E tanto bello avere un bel prodotto ed una rete commerciale, che questa sia diretta o indiretta ed anche capace a venderlo, ma prima di tutto bisogna porsi una domanda essenziale ovvero se l’azienda è in grado di supplire alle esigenze di un mercato estero, ergo la domanda:si è in grado di internazionalizzarsi?

Diciamoci la verità, qualsiasi venditore, capo area o direttore commerciale è capacissimo ad andare a prendere un ordine fuori dalle porte di casa, altrimenti non farebbe quel lavoro, ma poi l’azienda è in grado di gestire ed evadere l’ordine?

Vendere all’estero non è assolutamente come vendere in Italia. Prima di tutto bisogna conoscere la lingua, e molte volte l’inglese non basta, (provate ad andare a vendere in Cina nel cuore della Manciuria per vedere se vi capiscono così bene). Detto questo ci terrei a ricordare che non esiste nessun traduttore al mondo capace di vendere il tuo prodotto, perché non lo capisce o conosce, pertanto se volete vendere in un paese dove bisogna conoscere la lingua del posto sarebbe per lo meno opportuno assumere un collaboratore che sia in grado di parlare quella lingua, oppure non valutate quel mercato primario e questo è completamente un discorso diverso. Per farsi un idea basterebbe leggere quelle aberrazioni commerciali che sono i siti in lingua o la documentazione commerciale di alcune aziende Italiane tradotta in inglese, (non voglio pensare che cosa venga fuori nelle traduzioni in lingue più complicate come il cinese).
E poi ci si chiede perché all’estero non riusciamo a comunicare bene le qualità del nostro prodotto o servizio. Non siamo più negli anni 80 quando ci si aggiustava anche perché i mercati erano comunque quelli delle grandi opportunità dove si vendevano i frigoriferi agli eschimesi. Ora per vendere bisogna essere professionali, essere seri, avere un vantaggio competitivo e bisogna saperlo spiegare e farlo capire efficacemente.

Chiusa questa breve parentesi sulla comunicazione, ritorniamo al problema principale: la mia organizzazione aziendale sa che cosa vuole vendere all’estero? Sa per esempio come spedire all’estero, quali sono le procedure più comuni? Oppure è in grado di gestire una lettera di credito e decidere quale forma è quella che mi garantisce di più? Quali sono le leggi che vincolano le importazioni, le certificazioni necessarie, chi farà l’assistenza tecnica, e lo start-up? Quali sono le garanzie i pagamenti e se il cliente non paga e mi ruba la merce???

Spero quindi di aver chiarito che prima di internazionalizzare, c’è bisogno che la nostra organizzazione aziendale sia internazionalizzata!

Il Come, Dove e Quando

Una volta fissato l’obiettivo e sicuri di avere un’organizzazione che può supportare le necessità aziendalilegate ad un piano di internazionalizzazione ci troviamo davanti alla non facile ricerca del migliore canale di vendita, delmercato o dei mercati sui quali si vuole iniziare a lavorare e quando iniziare a farlo.

La domanda che ogni imprenditore o direttore commerciale dovrebbe porsi è: Come internazionalizzarsi? Quali canali utilizzare? Quali sono le metodologie migliori per vendere in quel determinato mercato?

Se si vuole basare la decisione esclusivamente legandola ai costi, l’approccio più rapido e più convenientedi tutti è quello di trovare un agente o distributore. La scelta tra i le due tipologie di “rivendita” è un passaggio strategico molto importante perché un contratto di agenzia ed uno di distribuzione implicano delle “legalità” differenti tra i due soggetti.  In alcuni casi le leggi del paese dove andremo ad istituire un rapporto di agenzia o distribuzione potrebbero avere la prevalenza in sede di contratto ed essere molto diverse da quelle da noi conosciute, pertanto vi suggerisco di mettere a budget il costo di un buon avvocato come tutela preventiva.

Dal mio punto di vista agenti o distributori dovrebbero essere equivalente come apporto alle vendite, anche se il distributore in quanto tale è “proprietario” del suo cliente e questo vuole dire che voi non saprete mai a chi sono stati rivenduti i vostri prodotti se non, forse, quando ci sono problemi con il prodotto. Importante è sapere che se il distributore decide di rescindere il contrattovi resta solo una cosa da fare per non perdere il “patrimonio commerciale” costruito e reiniziare daccapo: accordarvi per l’acquisto della sua lista clienti.Ci sono altri modi per venire in contatto con il cliente finale quali la registrazione della garanzia del prodotto ma questi non valgono o hanno la stessa utilità in tutti i settori merceologici.

Il rappresentante invece lavora per voi, ma considerate che al momento di rescindere il contratto c’è un bonus di buonuscita che viene calcolato sulla media degli ultimi anni di vendite per la vostra azienda. Va da sè che la scelta tra agente e distributore,  che potrebbe sembrare una scelta semplice va ponderata con attenzione ed in maniera strategica. Importante da ricordare: sia l’agente che il distributore vi seguiranno solo ed esclusivamente se il vostro prodotto sarà considerato importante ai fini del loro fatturato.
All’inizio di un rapporto di lavoro sono sempre rose e fiori ma ben presto i numeri (fatturato) prendono il sopravvento. Pareto, “quello che”il 20% dei prodotti che rappresenta o rivende incide sull’ 80%,  busserà prepotentemente alla vostra porta: se non fate parte del 20%  buonosarete fuori dai giochi strategici e verrete seguiti di conseguenza!

Un altro approccio di internazionalizzazione del prodotto è quellodella vendita diretta in loco: sia viaggiando direttamente nel paese di interesse oppure tramite l’apertura di una filiale. Le visite dirette,  un modo per tenere i costi più o meno sotto controllo, alla fine non sono il modo migliore di internazionalizzare; specialmente quando parliamo di paesi dove la distanza e il fuso orario giocano una componente importante e sfavorevole al mantenimento dei rapporti diretti con il cliente. Considerate che in alcuni mercati il non avere un centro di assistenza tecnica in loco potrebbe diventare un vero ostacolo alla penetrazione del mercato. Quindi se in Europa è ipotizzabile applicare questa strategia nel resto del mondo non è  possibile principalmente perché dopo avere venduto il prodotto dovete essere in grado di seguire il cliente ed è quasi impossibile farlo a distanza.

Aprire una filiale, pur essendo il miglio modo per seguire direttamente un mercato, costa molto e serve una buona pratica di business per fare le cose a modo. Non solo dovrete essere bravi a gestire una nuova azienda, ma dovrete diventare veri esperti di quel paese, delle sue leggi, costumi e necessità. Come scrissi in un articolo precedente, dovrete anche trovare la persona giusta che vi segua la filiale se non volete incorrere in ulteriori problemi. Non basterà dare le direttive a qualcuno nel caso di filiali estere dovrete essere voi in prima persona a mettervi in gioco.

Con questo ultimo punto, abbiamo dettagliatamente elaborato su il “Come” è il passo più importante quando  ci si deve preparare ad un piano di internazionalizzazione anche se le successive due fasi (il “dove” ed il “quando”) non sono da sottovalutare.

Il Dove è una fase importante poiché definisce con chiarezza una componente essenziale del percorso di internazionalizzazione che dovrebbe già essere pianificata nel BP (business plan) o meglio, dovrebbe fare nascere un BP e MP ad hoc in quanto richiederà una serie di sforzi aziendali (personale, strutturale e finanziario) che va valutato in anticipo. Ricordate internazionalizzarsi prima di internazionalizzare. Il Dove diventa giocoforza una questione di strategia aziendale. Il “dove” non deve essere dove van tutti perché seguire la massa come una pecora non serve a nulla, anzi normalmente ha l’effetto contrario a quello desiderato. Il “dove” leggasi il mercato/i dove vogliamo andare, deve essere scelto in base alle nostre capacità aziendali, alle sue (di chi????), al costo relativo all’operazione e non ultimo per l’attrattiva che il nostro prodotto ha sui potenziali clienti in quel paese. Quella del mercato, o del dove, diventa una decisione con alto livello di rischio perché internazionalizzare non è un processo semplice e da compiere senza previa analisi, ma é un investimento e va trattato come tale. Non mi stancherò mai di ripeterlo: non crediate che il ROI di un investimento (di internazionalizzazione) sia immediato, ci vorranno degli anni per rientrare dei soldi  investiti e questo dipenderà anche  e in gran parte da ciò che avviene a livello micro e macro economico.

La conseguenza logica è che il “quando” deve essere QUANDO l’azienda è pronta!

Quando hai deciso “come e dove” internazionalizzarsi ed hai affrontato la questione finanziaria di questa operazione. Il quando è l’ultimo step del progetto: ricordiamoci la T (Temporale) dell’acronimo SMART. Ogni progetto deve avere una fine, altrimenti diventa qualcosa di dispendioso che non porta da nessuna parte. In conclusione :internazionalizzare deve essere la conseguenza di unprogetto condiviso in diversi ambiti aziendali. Essendo un processo che richiede l’utilizzo di risorse umane, finanze e collaboratori esterni deve essere realizzato per obiettivi che vanno convalidati ed eventualmente ritarati in corso d’opera.

“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” Seneca

[Scritto da David Grosso]

Se sei interessato a discutere quanto trattato in questo articolo e le sue tematiche  direttamente con l’autore puoi inviargli una mail a dgrosso@45consulting.com oppure visitando la sua pagina web su www.45consulting.com

Un ringraziamento particolare va a Roberto Salvato per il Copywriting.

Citazioni e approfondimenti:

Rubrica Collateral di MarketCool che raccoglie le “Pillole di Internazionalizzazione”

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